Ma “Respinge la domanda di annullamento della sanzione pecuniaria”

Supermercati Decò, continua lo scontro Lombardi- Elettrovit. Dal Tar spunta un nuovo provvedimento, che pubblichiamo in anteprima.
Il provvedimento
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4039 del 2015, proposto da:
Lombardi Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Tammaro Chiacchio, Leonardo Mennella, Vittoria Chiacchio, con domicilio eletto presso Tammaro Chiacchio in Napoli, Via dei Mille, 74;
contro
Comune di Barano D’Ischia in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall’avv. Arturo Testa, con domicilio eletto presso Arturo Testa in Napoli, Via Santa Lucia N.15;
nei confronti di
Elettrovit Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Alfonso Capotorto, Ciro Sito, con domicilio eletto presso Alfonso Capotorto in Napoli, Centro Direz. Is E/2 Sc. A;
e con l’intervento di
per l’annullamento
del provvedimento n. 4854 del 15/7/2015 recante annullamento e revoca di autorizzazioni commerciali, inibizione dell’attività commerciale, declaratoria di inefficacia del certificato di agibilità provvisoria e sanzione pecuniaria di € 5.000,00;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Barano D’Ischia in Persona del Sindaco P.T. e di Elettrovit Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’Udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2016 il Consigliere Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente proposto, la ricorrente, proprietaria di esercizio di media struttura di vendita al dettaglio (Supermercato Decò) gestito da circa trentaquattro anni senza rilievi di sorta da parte del Comune di Barano d’Ischia, impugna il provvedimento n. 4854 del 15.7.2015 recante annullamento e revoca delle autorizzazioni commerciali n. 10931 del 16.12.2000 e del 1.6.2009 con conseguente inibizione dell’attività, la declaratoria di inefficacia del certificato di agibilità provvisoria e l’applicazione di sanzioni pecuniarie per l’ampliamento dimensionale senza autorizzazione riscontrato al piano terra.
Precisa in proposito di essere titolare del predetto esercizio di attività riconducibile alla tipologia ”esercizio di media struttura” di tipo M1 per la vendita al dettaglio di prodotti del settore misto (alimentare e non alimentare), gestito giusta autorizzazione commerciale n. 136 del 26.1.1983 ininterrottamente da allora e di aver realizzato i locali in base a concessione edilizia n. 38 del 29.5.1981 nonché di aver presentato, per talune modeste innovazioni edilizie, istanze di condono prot. 4191/1994 e prot, 12645/1994 tuttora inesitate.
Attualmente la struttura in questione occupa quaranta dipendenti. Il Comune dal 1982 al 2015, pur avendo piena contezza dello stato dei luoghi e delle superfici utilizzate per l’antescritta attività commerciale avendo rilasciato nell’intertempo considerato i suindicati provvedimenti abilitativi ed avendo riscosso regolarmente i tributi comunali, non ha eccepito alcunché fino alla data di adozione del gravato provvedimento interdittivo.
1.2. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Barano d’Ischia e la controinteressata ad hanno spiegato atto di intervento ad adiuvandum i quaranta dipendenti.
Alla Camera di consiglio del 10.9.2015 la domanda cautelare veniva abbinata al merito.
Tutte le parti hanno prodotto nella stessa data memoria per il merito il 24.12.2015 e repliche il 5.1.2016.
Alla pubblica Udienza del 26.1.2016 sulle conclusioni delle parti il gravame è stato trattenuto a sentenza.
2.1. Con il ricorso in epigrafe la ricorrente svolge articolate e circostanziate censure, dirette analiticamente a contestare le varie ragioni assunte a base dell’afflittivo provvedimento impugnato.
Principia la sua critica dalla prima delle contestate infrazioni, consistente nella rilevata eccedenza della superficie di vendita pari a mq. 30 al piano seminterrato e di mq. 8 primo piano, a fronte di una superficie assentita di mq. 640 al piano seminterrato e di mq. 280 al primo, eccedenza in termini percentuali inferiore al 5% rispetto al seminterrato e al 2,5% rispetto al piano primo.
Orbene, per la deducente siffatta eccedenza, anche a volerla ritenere afferente tutta alla superficie di vendita – circostanza a buon diritto contestata ed oggetto di successiva doglianza – è di portata minimale rispetto a quella complessivamente autorizzata e non consente in ogni caso di giustificare la grave sanzione della revoca del titolo abilitativo e la conseguente inibizione dell’attività commerciale. Deduce in proposito la violazione dell’art. 22 del d.lgs. n. 114/1998 che comminerebbe per le violazioni in materia di apertura, trasferimento ed ampliamento delle superfici di vendita, la mera sanzione pecuniaria e non quella interdittiva di cui all’’art. 57 della L.Reg. Campania n. 1/2014 falsamente applicato, come conferma la stessa circolare regionale esplicativa di tale ultima legge approvata con D.D. n. 997/2014.
2.2. La doglianza appare al Collegio di sicura fondatezza, trovando conforto i due precedenti della sezione resi sullo specifico tema delle sanzioni applicabili alle violazioni in materia di trasferimenti ed ampliamenti dei locali commerciali.
Essendo tuttavia il provvedimento impugnato anche nella parte in cui irroga la sanzione pecuniaria, va da sé che l’accoglimento del motivo può essere soltanto parziale, limitatamente cioè alla parte del dispositivo con il quale viene irrogata la sanzione reale della chiusura dell’esercizio commerciale, risultando invece il provvedimento pienamente legittimo nella parte con cui è applicata la sanzione pecuniaria.
Al riguardo va subito rammentato che l’art. 22 del decreto legislativo 31/03/1998, n.114 (c.d. Decreto Bersani) che per primo introdusse in materia di autorizzazioni commerciali la liberalizzazione del settore, stabilisce che “Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 16, 17, 18 e 19 del presente decreto e le disposizioni di cui agli articoli 65, 66, 67, 68 e 69 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a lire 30.000.000” e che solo “In caso di particolare gravità o di recidiva il sindaco può inoltre disporre la sospensione della attività di vendita per un periodo non superiore a venti giorni. La recidiva si verifica qualora sia stata commessa la stessa violazione per due volte in un anno, anche se si è proceduto al pagamento della sanzione mediante oblazione”. L’art. 8 stesso decreto, richiamato quale fattispecie normativa che definisce il precetto alla cui violazione la prima norma ricollega la sanzione pecuniaria, a sua volta dispone che “L’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie fino ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera e) , di una media struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio”.
Dal combinato disposto delle due riportate norme di legge ordinaria discende che qualora venga posto in essere un ampliamento non autorizzato di un esercizio di vendita, il Comune può comminare solo la sanzione pecuniaria oscillante tra il minimo di € 5.000 e il massimo di € 30.000 a seconda della gravità dell’infrazione, ma non certo la sanzione reale interdittiva della revoca dell’autorizzazione commerciale e dell’inibizione della relativa attività.
Tant’è vero che la sanzione della revoca è contemplata al comma 4 dell’art. 22 del d.lgs. n. 114/1998 per violazioni ben più gravi di un mero ampliamento quantunque ridotto delle superfici di vendita. Tale norma stabilisce infatti che “L’autorizzazione all’apertura è revocata qualora il titolare:
a) non inizia l’attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità;
b) sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno;
c) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (2);
d) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell’attività disposta ai sensi del comma 2”.
Anche la circolare esplicativa della L. Reg. n. 1/2014, approvata con decreto dirigenziale regionale n. 977 del 30.10.2014 pubblicato sul BURC n. 77 del 10.11.2014 dispone in tal senso stabilendo che“ai sensi dell’art. 57 della Legge Regionale 8…) sono stabilite le seguenti sanzioni pecuniarie: lett. b) “da euro 2.550 ad euro 15.000, per (..) “l’ampliamento dimensionale, oppure l’estensione del settore merceologico oppure il trasferimento di sede di una qualsiasi tipologia di attività”.
Segnala inoltre il Collegio che constano due specifici precedenti della Sezione, uno dei quali reso proprio sull’applicazione dell’art. 22 del d.lgs. n. 114/1998, del quale la ricorrente fondatamente deduce la violazione, con cui si è chiarito che l’ampliamento della superficie di vendita senza autorizzazione ovvero in porzioni dell’immobile interessati da abusi edilizi è sanzionabile unicamente con pena pecuniaria e non con la revoca dell’autorizzazione. La Sezione ha infatti statuito che “L’art. 22, d.lg. n. 114 del 1998 consente la chiusura dell’attività commerciale esclusivamente quando il titolare sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno; non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’art. 5 comma 2; nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico – sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell’attività disposta ai sensi del comma 2 o, infine, ai sensi del comma 6, “in caso di svolgimento abusivo dell’attività”. In particolare, in tale concetto non rientra lo svolgimento dell’attività in locali in cui siano stati realizzati abusi edilizi” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 12 marzo 2012 n. 1244 ).
Tale disposizione trova conferma anche negli artt. 22 e 27 D.P.R. n. 327/1980 a norma dei quali“i provvedimenti di chiusura temporanea o definitiva degli stabilimenti ed esercizi, previsti dall’art. 15 della legge, sono adottati con particolare riguardo allo stato di pericolo per la salute pubblica derivante dalla non igienicità delle operazioni di lavorazione o deposito, ovvero dalla natura o condizione delle sostanze prodotte o poste in vendita”. Si è stabilito che “nel caso all’esame nessun elemento tra quelli rilevati consentiva di ravvisare pericolo per la salute pubblica derivante dalla non igienicità delle operazioni di lavorazione o deposito, ovvero dalla natura o condizione delle sostanze prodotte o poste in vendita (…).Ne consegue che non poteva essere ingiunta la chiusura temporanea o definitiva dell’esercizio” discendendone l’illegittimità della disposta chiusura dell’esercizio poiché “Il Comune ha invece operato applicando la più grave misura interdittiva, al di fuori dell’ipotesi normativamente prevista” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III , 27.1.2014 n. 656).
Da quanto illustrato discende che il Comune di Barano d’Ischia non poteva irrogare l’afflittiva ed esiziale sanzione della revoca delle pregresse autorizzazioni commerciali con conseguente ordine di cessazione dell’attività a fronte di un modesto ampliamento non autorizzato della superficie di esercizio dell’attività ma doveva applicare la sola sanzione pecuniaria, che tra l’altro va graduata tra un minimo ed un massimo a seconda della gravità dell’infrazione.
Ragion per cui il provvedimento impugnato si prospetta illegittimo nella parte in chi ha ingiunto la revoca delle autorizzazioni e la chiusura dell’attività commerciale.
3.1. Con il secondo motivo la deducente articola in realtà due censure. Con la prima, con cui si rubrica eccesso di potere per sviamento, la ricorrente sostiene che gli abusi riscontrati non ineriscono alla superficie di vendita così come definita dall’art. 3, comma 1, lett. h) della L. Reg. n. 1/2014 ma esclusivamente le aree esterne non oggetto di attività commerciale.
3.2. La doglianza è fondata al lume della norma richiamata.
Invero, l’art. 3 comma1 lett. h) della L. Reg. Campania 9.1.2014 n. 1 definisce superficie di vendita “l’area destinata alla vendita, compresa quella occupata da banchi, scaffalature, vetrine, cabine di prova e simili e le aree di esposizione della merce, se accessibili alla clientela. Non costituisce superficie di vendita quella destinata a magazzini, depositi, laboratori, locali tecnici, uffici, servizi, avancasse, le zone interdette ai clienti e, anche se accessibile alla clientela, l’area scoperta, se adiacente all’esercizio commerciale e di dimensioni non superiori al venti per cento della superficie di vendita”.
In punto di fatto, a sostegno dell’allegazione in analisi la ricorrente allega un verbale di sopralluogo effettuato in contraddittorio nei locali aziendali il 5.7.2015 (doc.14 produzione ricorrente) dal quale emerge che“si procede altresì ad individuare in contraddittorio l’esatta allocazione degli abusi edilizi, rendendosi reciprocamente atto che (…) essi si rinvengono in aree esterne alla superficie di vendita, ad eccezione di una superficie presente al piano terra di circa mq. 45,44 oggetto di istanza di condono”.
Da tanto consegue la fondatezza della censura di sviamento, atteso che l’allocazione degli abusi all’esterno della superficie di vendita non poteva assurgere a legittimo presupposto dell’irrogazione della sanzione della chiusura dell’esercizio previa revoca della rilasciata autorizzazione, alcun rapporto logico- giuridico sussistendo tra un abuso commesso all’esterno dell’area destinata al’attività commerciale e la sanzione dell’inibizione della stessa.
3.4. Con la seconda censura la deducente svolge la doglianza di violazione del principio di graduazione delle sanzioni e di proporzionalità, lamentando che a fronte di un ampliamento minimale di complessivi 38 mq. non autorizzato, rispetto ad una struttura di vendita di 640 mq., si prospetta sproporzionato ed eccessivo colpire siffatta infrazione con la chiusura dell’intero esercizio ivi compresa la prevalente parte legittima.
Al riguardo invoca una nota pronuncia della Sezione affermativa di siffatto principio.
3.5. La doglianza si profila sicuramente fondata al lume degli arresti resi sul punto dalla Sezione.
Si è, invero, affermato che “Si osserva al riguardo che l’art. 3, comma 7, della L. 25.8.1991, n. 287, sopravvissuto all’abrogazione da parte del d.lgs. n. 59/2010, a chiare note stabilisce che “Le attività di somministrazione di alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienica – sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici, fatta salva l’irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate”.Ne consegue che l’accertata abusività dei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale non può che comportare la revoca dell’autorizzazione commerciale, senza che residui spazio a valutazioni di interessi o al disimpegno di attività discrezionale, atteggiandosi la revoca ad atto dovuto.
Ciò posto in termini generali, rileva, peraltro, il Collegio come nei casi in cui venga accertata l’abusività di una sola parte dell’immobile destinato ad attività commerciale, non appare conforme al principio comunitario di proporzionalità, sanzionare siffatta irregolarità con la chiusura totale dell’esercizio” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 5/12/2012 n. 4938)
La pronuncia ricalca un analogo precedente della Sezione con il quale si precisò che “non può sanzionarsi con l’ordine di chiusura dell’intero esercizio il fatto che quest’ultimo si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l’area interessata sia soggetta a vincolo), rivelandosi tale ordine eccessivo e perciò viziato sotto il denunciato profilo dell’eccesso di potere. Appare, infatti, contrario a criteri di ragionevolezza – e perciò sintomatico di sviamento dell’azione amministrativa – inibire per intero l’esercizio di un’ attività commerciale quando soltanto una parte dei locali in cui essa è svolta non è in regola con la normativa edilizia, ben potendo l’Amministrazione, nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso all’esplicazione di un’ attività imprenditoriale, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio (non assumendo rilievo in questa sede la pur accertata carenza di autorizzazione condominiale per la realizzazione del vano – veranda in contestazione, insistente su area di proprietà condominiale)” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 8.6.2010, n. 13015).
La decisione è stata di lì a poco confermata dalla Sezione, che ha precisato che “va rimarcato – sempre in linea con la richiamata giurisprudenza – che non può sanzionarsi con l’ordine di cessazione dell’attività il fatto che l’attività commerciale si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l’area interessata sia assoggetta a vincolo). Un tale ordine, infatti, verrebbe a collidere con i criteri di ragionevolezza e sproporzione che devono improntare l’azione amministrativa, costituendo, in definitiva, sintomo di sviamento di quell’azione, ben potendo l’Amministrazione, nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso all’esplicazione di un’attività imprenditoriale, ove materialmente possibile e accertata la sussistenza dei requisiti igienico-sanitari per la restante parte, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 21.12.2012 n. 4326).
La massima è stata condivisa da altra Sezione del Tribunale, che ha ribadito come “Il principio di proporzionalità esige che l’interesse pubblico venga perseguito incidendo nella misura strettamente necessaria le posizioni giuridiche dei privati, tanto più ove le stesse originino da precedenti provvedimenti ampliativi dell’Amministrazione che debbano essere rimossi per perseguire l’interesse pubblico; in tal modo, sono stati ritenuti illegittimi l’annullamento del certificato di agibilità al pari dell’ordine di chiusura dell’attività commerciale, ove abbiano interessato immobili adibiti ad attività commerciale anche per la porzione di superficie non abusiva “ (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 5 marzo 2013 n. 1235).
Ebbene, nel caso all’esame emerge con tutta evidenza la sproporzione insita nell’aver revocato un’autorizzazione commerciale ed inibito in toto l’attività malgrado gli abusi fossero relativi ad una superficie, peraltro esterna a quella di vendita come sopra chiarito, che riveste un’importanza secondaria e minimale rispetto alla prevalente consistenza autorizzata.
Dal che la fondatezza della dedotta violazione del principio di proporzionalità.
5.1. Con altra censura la deducente contesta l’ulteriore motivazione assunta a base del gravato provvedimento ed imperniata sull’asserito intervenuto mutamento di destinazione d’uso dei locali de quibus, che risultavano assentiti come produttivi, laddove sono stati destinati ad uso commerciale. Per la ricorrente siffatta asserzione è smentita per tabulas poiché fu rilasciata l’autorizzazione commerciale n. 136/1983 per esercizio di vendita all’ingrosso e al dettaglio.
5.2. La doglianza si profila fondata e va conseguentemente accolta.
Consta alla produzione di parte ricorrente l’invocata autorizzazione commerciale ma anche le successive, che sono state rilasciate espressamente per l’esercizio di attività commerciale di vendita al dettaglio nel settore misto.
Con una prima autorizzazione, la n. 136 del 26.1.1983 il Comune di Barano d’Ischia autorizzava l’amministratore delegato della Lombardi s,r,l, odierna ricorrente all’esercizio del commercio al minuto nel locale ubicato in Via Duca degli Abruzzi per i generi i cui alla tabella merceologica, I, V, VI, 12 e 14 ( (prodotti alimentari, ittici, ortofrutticoli, mobili ed altri prodotti).
Successivamente, con l’autorizzazione n.10931 del 6.12.2000 veniva assentita l’apertura di un nuovo esercizio di media struttura di tipo M1 per la vendita al dettaglio di prodotti del settore misto (alimentare e non alimentare) (docc. 3 e 4 produzione ricorrente).
Per finire, nel 2009 veniva rilasciata l’autorizzazione n. 1911 del 29.5.2009 per gli stessi locali, con la quale si abilitava la ricorrente all’ampliamento della superficie per mq 346 nel settore non alimentare (doc. 5 ricorrente).
Ne risulta l’illegittimità delle motivazioni svolte sul punto alle pagg. 8-19 del provvedimento all’esame.
6.1. Coerentemente con le rilevate autorizzate destinazioni commerciali il Comune resistente rilasciava anche alla Lombardi s.r.l. un certificato di agibilità provvisoria, ragion per cui frutto di errore e difetto di presupposti è l’ulteriore motivazione eretta a sostegno dell’impugnata determinazione di revoca ed inibizione a pag 19 del provvedimento al vaglio del Collegio, secondo il quale “il certificato rilasciato in via provvisoria (…) è inerente ad un’attività produttiva e non ad un’attività commerciale”.
Per il Comune non costituirebbe attività commerciale ex art. 2, L. R. Campania n. 26/1975 il magazzinaggio o l’imballaggio di merci ove esercitate per almeno quattro quinti del volume occupato.
La ricorrente oppone anzitutto l’effettiva natura commerciale dell’attività svolta, come attestata e qualificata nelle richiamate autorizzazioni.
Invoca inoltre il disposto del nuovo art. 26 comma 2 del d.lgs. n. 114/1998 che avrebbe rimosso l’originario divieto di esercizio di attività commerciali afferenti a due diverse tipologie (ingrosso e dettaglio).
6.2. Anche la sintetizzata ultima censura a parere del Collegio è fondata.
Invero, consta al doc. 26 della produzione della deducente il rilasciato certificato di agibilità provvisoria del 16.1.2000 (in pendenza dell’esame dell’istanza di condono) che certifica expressis verbis – il che sarebbe già di per sé risolutivo – che i locali di via Duca degli Abruzzi sono “adibiti ad attività commerciale di immagazzinaggio merci e mercato all’ingrosso”.
In punto di diritto va condivisa la notazione della deducente circa la modifica dell’art. 26 coma 2 del d.lgs. n. 114/1998 ad opera dell’art. 8 coma 2 del d.lgs. 6.8.2012 n. 147, secondo cui è consentito l’ “esercizio promiscuo nello stesso locale dell’attività di vendita all’ingrosso e al dettaglio”.
Ne consegue che essendo stato il certificato di agibilità rilasciato per attività di vendita all’ingrosso, non configura alcun mutamento di destinazione d’uso non autorizzato, l’estensione dell’attività da quella all’ingrosso a quella al dettaglio, atteso che per il citato disposto legislativo è consentito e pienamente legittimo l’uso promiscuo (dettaglio e ingrosso) che resta sempre all’interno e nell’ambito della medesima autorizzata destinazione commerciale.
La declaratoria di inefficacia del certificato di agibilità recata parimenti con il provvedimento impugnato è pertanto illegittima e va annullata.
In definitiva, al lume delle considerazioni fin qui svolte, i primi quattro motivi di ricorso si profilano fondati ed importano l’accoglimento in parte del gravame, ossia relativamente alla comminata revoca delle autorizzazione e all’ordine di inibizione dell’attività, potendosi assorbire le censure sulla rilevanza delle domande di condono tuttora inesitate e sull’infrazione del principio di tutela dell’affidamento, essendo state accolte censure sostanziali sul provvedimento impugnato.
Va invece respinta la domanda di annullamento della sanzione pecuniaria, essendo la stessa legittima alla luce dell’art. 22, d.lgs. n. 114/1998.
Le spese seguono possono essere compensate in ragione della delineata parziale soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie limitatamente alla revoca delle autorizzazioni, all’inibizione dell’attività commerciale e alla dichiarazione di inefficacia del certificato di agibilità e per l’effetto annulla in tali limiti il provvedimento impugnato.
Respinge la domanda di annullamento della sanzione pecuniaria.
Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nelle Camere di consiglio del 26 gennaio e 9 febbraio 2016 con l’intervento dei Magistrati:
Fabio Donadono, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere
Alfonso Graziano, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)