Riceviamo e pubblichiamo
di Ennio Anastasio
Anche ad Ischia nei giorni precedenti la conferenza di presentazione dei comitati sul referendum costituzionale con i portavoce del sì e del no che si sono affrettati a specificare sin dal primo momento di essere parte o meglio “costellazione” di un comitato di vaste dimensioni che agisce a livello nazionale. In entrambi gli appuntamenti, per onor di verità e tenendo in giusta considerazione la scarna, scarnissima presenza dei cittadini, pur ripetutamente invitati all’incontro, sembrava più di vivere l’atmosfera della nota canzone “eravamo quattro amici al bar” di Gino Paoli che quella di una vera conferenza d’ apertura ad un importante confronto su temi istituzionali. Questo non per sminuire in alcun modo l’iniziativa dei promotori dei nascenti “comitatini” ai quali va sicuramente rivolto un plauso per l’impegno dimostrato e la volontà di crederci ma giusto e soltanto per sottolineare come Ischia e gli ischitani dimostrano come sempre di essere in tutt’altre faccende affaccendati, impegnati anima e corpo nelle loro occupazioni ed attività d’interesse. D’altronde sappiamo bene che per scaldare il tiepido animo degli isolani ci vuole ben altro. Non vogliamo peccare di retorica, relazioni e numeri parlano chiaro e la dimostrazione di quanto asserito risale a meno di 15 giorni fa, in occasione della manifestazione-corteo del 14 ottobre scorso quando poco più di cinquecento persone hanno attivamente preso parte ad una causa comune: evitare la chiusura dell’Utic all’ospedale Rizzoli di Lacco Ameno. Quando su di un’isola di circa 68mila abitanti, sono veramente poche centinaia le persone che scendono in strada, appena rinfoltite da un gruppo di giovanissimi studenti e ciò per difendere il solo ed unico reparto di terapia intensiva cardiologica dell’intera comunità che rischia la chiusura sotto il peso di una spending review sempre più tagliente quanto incomprensibile, vuol dire che abbiamo fallito in spirito di coesione, di appartenenza e soprattutto come società civile. Dal cesto dei panni sporchi tiriamo fuori anche la mancata serrata dei negozi sul corso principale, i commercianti pensavano ad altro, tranne poche, pochissime eccezioni cui va dato merito. La visione isolana del giorno di protesta è quella del “sei fuori dal coro”, tu partecipante sei uno che “te lo puoi permettere, beato te”. E’ difficile comprenderlo ma è così, niente di più. Dunque la campagna per il referendum interesserà davvero la cittadinanza? si avranno lacerazioni e contrasti o andremo avanti tra balbettamenti e vacue riflessioni? eppure chi segue la politica ed ancor più chi vive di politica, sa bene che ci troviamo di fronte ad un tema cruciale della storia del nostro Paese, il momento è solenne e questo deve spingere ad andare oltre le ragioni e i torti del sì e del no. Le incognite su quello che sta accadendo partono dal presupposto di chiedersi: ma l’Italia, Patria di un Parlamento che approva mediamente una legge ogni dieci giorni superando Francia, Germania e Gran Bretagna in un colpo solo, dove soltanto uno scarno 5% rappresenta quella parte di leggi che hanno subito letture plurime nell’ultimo quinquennio, ha davvero bisogno di quello che si vuol far credere come un sontuoso processo di modernizzazione? vi è davvero necessità di cambiare la Costituzione per evitare una presunta “paralisi” nel procedimento legislativo? ma non è strano che la proposta provenga proprio da un Governo che marcia spedito come un treno ad alta velocità nell’approvazione di leggi già riformatrici nella loro struttura, come ad esempio il Jobs act ? l’incubo che viviamo con i risultati della “buona scuola” proprio quella che ha azzerato gli scatti di anzianità ai docenti precari, che ha frantumato famiglie ed affetti confinando al Nord insegnanti del Sud, che ha scatenato centinaia di ricorsi, deve imporci una riflessione? possiamo cedere a certi “ammiccamenti” di colorati manifesti che con arte di recitazione posano al nostro sguardo, quasi a chiamarci : “Vuoi ridurre il costo della politica? Basta un sì ” Ecco, l’opinione pubblica, anche quella dell’anti-politica è spaccata ma anche smarrita e confusa.
Ma siamo arbitri del nostro destino?
Matteo Renzi, inutile nasconderlo, gode della simpatia e del sostegno di quella parte d’Italia che conta, quella che decide le sorti del paese gustando una cena, quella che condivide il tour senza freno del Premier tra le varie regioni perché lo sforzo di convincere è arte di Matteo. Ma l’arma del referendum, come dire, è anche servita per portare a compimento un’altra operazione : stringere nell’angolo quella parte di minoranza interna al partito che in Bersani e Cuperlo rappresentava ancora un ostacolo. Così, sull’onda del bon Ton di un prezioso quanto utile lanciafiamme si è resa terra bruciata a chi ha osato alzare il dito, aprendo il ponte verso quel bacino elettorale di destra che negli ultimi anni non trova riferimenti politici di rilievo. E’ proprio quella parte di indecisi che bisogna convincere in modo incalzante con un forsennato tour, girare il Paese in lungo ed in largo, quello serve. Un bel niente conta che la maggioranza sia divisa e poi, diciamolo per franchezza, quale alternativa viene proposta da tale costola interna se non quella di continuare a litigare intorno al capezzale del malato? Sul campo un unico vero avversario rappresenta la spina nel fianco del “rottamatore” ed è rappresentato da quel movimento anti-casta e anti-sistema che genera in tanti elettori la paura del “salto nel vuoto” e che involontariamente spinge anche gli antirenziani verso il sì, pur di non consegnare il Paese . I Cinquestelle rappresentano quell’unica parte di minoranza che potrebbe stringere le redini al cavallo di battaglia facendosi difficilmente disarcionare, sono loro i veri antagonisti che possono giocarsi la partita del referendum, bisogna prendere atto di questo come del fatto che di movimento non si può più parlare. Per governare bisogna strutturare gli ideali in organizzazione, in gradi e livelli, in pratica bisogna diventare un partito. L’esperienza di Roma dice tanto, non basta proclamarsi onesti,cavalcare la rabbia e dichiararsi interpreti del sentimento diffuso della rassegnazione che serpeggia nei diversi strati sociali. Governare significa ben altro, le problematiche quotidiane di una città, specie Roma, non possono essere risolte inseguendo i temi dell’anti-politica ma con competenza e passione civile. Il Movimento 5 stelle deve assumere le responsabilità di un vero antagonista, realizzando un progetto realistico che possa ritenersi credibile come visione alternativa al partito che attualmente governa il Paese, diversamente parliamo di populismo inconcludente e null’altro.
Siamo pronti all’appuntamento?
A differenza di taluni non riteniamo in alcun modo di poter assumere il ruolo di custodi delle “chiavi della verità” ma di una cosa siamo certi: vi è sempre un’etica dei diritti da rispettare in ogni società civile così come vi è una parte dell’Italia, forse proprio quella che fatica a condurre con decenza un proprio percorso di vita con un salario minimo, a nutrire la gioia di una speranza, quella di vivere il sogno di un mondo migliore che sia da cornice ad una società più libera e scevra da quei valori combinati che attualmente dettano i canali di orizzonti sociali precostituiti, frutto di un’azione programmatica di pochi eletti. Il 4 dicembre è vicino, non possiamo sentirci sollevati da ogni responsabilità.