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di Ennio Anastasio
Un lacero container di ferro dove in questi giorni la rugiada e il freddo pungente la fanno da padrone. Orsola Migliaccio, vedova Buono, è costretta a viverci per necessità da oltre dieci anni, proprio lì, oltre il muro, quello alto, di pietra lavica, in via Foschini nei pressi dell’ex Camping ad Ischia porto. Quella orrenda mattina del 30 Aprile del 2006 le è giunta addosso con una montagna di fango, portando via suo marito Luigi, e le sue giovani figlie, Anna, Maria e Giulia, la più piccola, di appena 12 anni. Mi abbraccia Orsola ed è felice di vedermi, nei suoi occhi si possono cogliere in un attimo dubbi, incertezze, ma soprattutto una grande tristezza, quella di una donna che ha perso tutto, ma proprio tutto della sua vita in meno di un’ora. Dieci anni sono forse troppo pochi per cancellare un dolore così forte, così devastante, sono pochi per farsene una ragione, sono pochi soprattutto perché l’abbandono dello Stato, delle Istituzioni, riapre giorno per giorno una ferita già difficile da rimarginare. La porta di ferro si richiude ed Orsola è un fiume in piena: ” Sono grata a chiunque mi venga a trovare, sono grata dell’affetto che mi avete dimostrato con la cerimonia in piazzetta; adesso lì c’è un ricordo di questa disgrazia, quella della mia vita, grazie, ancora grazie. Adesso viene Natale e vorrei mettere due piantine di fiori accanto alla targa in ceramica che mi avete donato, nella piccola aiuola, accanto al nome di mio marito e delle mie figlie; ancora grazie per l’aiuto”. Orsola ha cercato di tutto pur di rendere accogliente qualcosa che dovrebbe solo contenere delle merci e viaggiare su di un cargo per gli oceani, ha cercato di darsi forza e di credere che quella “sistemazione” poteva e doveva essere soltanto una situazione temporanea, di pochi mesi. Le promesse, i proclami della politica che cavalca l’onda dei sentimenti, anche in situazioni drammatiche, le avevano aperto una speranza: quella di poter rientrare in un’abitazione, anche di pochi metri quadrati,di poter a breve lasciare il freddo scatolone di ferro. Ed Orsola vuole continuare a raccontare, a dire della sua vita: ” mi hanno sistemata qui, e vi sono altre sei famiglie in altri sei container, sempre qui dietro al muro, ma solo la mia casa, la mia è andata completamente distrutta, così come ho perso mio marito e Anna e Maria e Giulia Sono anni che i topi camminano sul mio tetto e cercano di infilarsi dentro, molti buchi sono riparati con il cemento, ma i topi trovano sempre nuove strade, questa zona è pineta e ci sono tanti topi. Due anni fa sono stata a trovare mia sorella e sono stata fuori per 20 giorni. Al ritorno aprendo la porta ho visto topi dovunque, non dico bugie, con la colla ho dovuto ucciderne dodici, che vita posso vivere in queste condizioni, perché mi hanno abbandonata? ” le domando se continua a lavorare nell’azienda agricola che tempo fa le aveva dato lavoro ma purtroppo il rapporto non è continuato per turno di rotazione, come Lei afferma, ed adesso il suo unico sostentamento è la pensione minima di suo marito Luigi che era cuoco. Orsola si procura qualche saltuario lavoretto di pulizia dove capita, nei pub, nei locali, nelle scale, per poter disporre di qualche euro di più. “quello che mi fa tanta paura- continua Orsola- è quando vi sono i temporali ed io ho sempre paura che un fulmine possa cadere su questo container perché è fatto di ferro e quindi pericoloso, ma dove posso andare? ormai non credo più in nessuno, mi hanno tolto la speranza, io sono la più sfortunata, ho sempre detto che mi bastano pochi metri, anche solo una stanza e una piccola cucina, ma non voglio morire qui dentro”. Orsola continua nel suo racconto,quello che narra delle tante promesse ricevute alle quali non è seguita alcuna azione concreta, e di come la sua battaglia per la conquista della normalità, quella di una vita dignitosa, sia sempre più debole, sopraffatta nel tempo da una rassegnazione profonda.
La politica “marciapiedopola” con la voglia del selfie
In un angusto angolo del container un piccolo albero addobbato rappresenta il simbolo del Natale in “casa” di Orsola. Non può competere con il grande “albero zarista”, il grosso cono all’ingiù montato in piazza degli Eroi con il quale l’Amministrazione di Ischia ha voluto mostrare i “muscoli” impegnando ingenti risorse e sbalordire un pò tutti. Già, il grande cono di grande effetto scenico, con le sue mille lucine dorate che cozza enormemente con la realtà ben diversa del campo sfollati di Monte Vezzi in via Foschini ad appena cento metri di distanza. Quell’albero enorme, a ben guardare, rappresenta uno svuotamento sociale, quello di una politica che corre su un binario diverso, che latita da anni e preferisce ritardare i gravosi appuntamenti della vita sostituendo ad essi opere semplicistiche, di effetto e di poca responsabilità. E così gli ultimi anni si sono vissuti, in particolare con Ischia capofila ed a seguire Casamicciola con un devoluto impegno delle Amministrazioni alla costruzione o al rifacimento di ….marciapiedi, che certo sono sempre utili al paese, od ancora in tagli di strade per buttarvi dentro un bel tubo di fogna o di gas per poi gonfiare il petto nell’assicurare la grande importanza di ciò che è stato realizzato ed in alcune occasioni c’è anche chi ha ritenuto doveroso accompagnare il tutto con un bel…..selfie, giusto per essere a tono, sulla scia di tendenza.
Il progetto, 19 abitazioni, ma a chi?
Affrontare delle situazioni scomode non è arte della politica, certo; ma allora viene da chiedersi perché da anni si annunciano ben 19 abitazioni in quel di Campagnano quando molti degli sfollati che vivono oltre il muro di Via Foschini hanno ancora un appartamento integro nella zona di Monte Vezzi. Possono di nuovo abitarlo o la zona è così ad alto rischio che anche interventi strutturali sul territorio, che dovrebbero essere la priorità, sono ritenuti insufficienti? Orsola ha contato soltanto macerie della sua casa, non avrà speranza di ritornare in quei luoghi, cosa frena una soluzione abitativa per chi una casa l’ha persa davvero, chi salverà Orsola? Sette container adibiti ad abitazione hanno anche un costo sociale che ricade sulla collettività isolana, ma è come immettere denaro in un secchio dal fondo bucato. In pratica, e non per nostra colpa, stiamo da anni camminando su un tapis roulant : sempre in movimento ma sempre nello stesso posto, allo stesso punto di partenza. Non è forse giunto il momento di ricominciare da un punto fermo e dar vita ad un segnale di cambiamento rispetto al passato aderendo a valori ben precisi in termini di compiti e di responsabilità? chi vuole presentarsi nel prossimo maggio alle elezioni di Ischia per guidare il paese con una nuova squadra inserirà al primo punto del suo programma elettorale la problematica Monte Vezzi? Ad oggi, 3.833 giorni di immobilità da quel tragico aprile del 2006 sono tanti, troppi da contare, un immobilismo spezzato soltanto per poche ore, quando il mondo della società civile, quello della scuola, della Chiesa, ha voluto stringersi ad Orsola pubblicamente e ricordare alla politica le promesse lanciate ma ancora non mantenute. Poi di nuovo il buio.