ISCHIA – La moglie del sindaco ha una serie di cause contro l’ente. Alcune sono finite anche in transazione. Ma l’altro giorno è andata male per la first lady. Infatti l’ente ha vinto. Il tar ha sentenziato che “il ricorso è infondato”. Almeno questa volta il comune non ha perso ed Enzo può consolarsi…Perché? Spesso le spese del contenzioso incidono negativamente anche sul bilancio, ma questa volta è andata bene…

Il testo del provvedimento

XXXXXXX, rappresentato e difeso dall’avvocato Claudia Trani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Ischia in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Di Meglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l’annullamento dell’ordinanza n. 52 del 3 marzo 2011 e di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Ischia in persona del Sindaco pro tempore; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2019 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Espone il ricorrente di essere proprietario in Ischia, in via I Traversa Arenella, di un suolo contrassegnato in catasto al foglio n. 16, particella n. 21, su cui insiste un fabbricato adibito ad abitazione. Con il provvedimento impugnato il Dirigente dell’area tecnica del comune di Ischia ha disposto, nell’esercizio del potere previsto dall’articolo 27 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e nel presupposto che il territorio del comune è soggetto a vincolo paesaggistico, l’eliminazione (con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi) di opere edilizie, in quanto eseguite in assenza di titolo edilizio e in difformità dalla d.i.a. prot. n. 28668 del 19 novembre 2007. In particolare – e premesso che nel provvedimento si afferma che la d.i.a. (che parte ricorrente non ha allegato al ricorso) prevedeva la realizzazione a confine con la strada pubblica di un muro in pietra locale lungo m. 16 circa alto m. 0,90 avente funzione di contenimento del terreno retrostante – il provvedimento così descrive le opere: “il muro realizzato con pietra locale a vista lungo m. 17,50 circa e soprastante ringhiera in ferro alta m. 1,20 circa, con andamento a scala, presenta due varchi delimitati da pilastri in c.a., uno pedonale largo m. 1,20 circa e uno carrabile largo m. 3,50 circa, con relativi cancelli in ferro, non previsto dalla indicata d.i.a. …. Il terreno posto tra il muro e il fabbricato, per una superficie di mq. 80 circa pè stato rimosso e costituisce area di parcheggio, pavimentata con cemento. Sul lato nord della detta area è stato realizzato un muro di confine e contenimento a sacco lungo m. 14,10 circa largo cm. 50 circa, con altezza variante da m. 1,2’ a m. 1,50 circa; anche sul lato opposto risulta eseguito un muro di contenimento tra il fabbricato e il muro di recinzione con la strada dove presenta una piccola scaletta in muratura. Nell’angolo formato dai lati sud e est della proprietà è stato installato un cancello di legno e rete metallica di m. 3 * 2 circa e incannucciata”. Il provvedimento, quindi, ordina la eliminazione di queste opere al responsabile del procedimento nel termine di due giorni dalla notifica ai responsabili, disponendo che entro lo stesso termine questi ultimi possano sostituirsi all’amministrazione eseguendo in proprio il ripristino (e così evitando che il costo di quest’ultimo, preventivato in euro 25.621,25 dal responsabile del procedimento, sia posto a loro carico). Contro il provvedimento è stato quindi proposto il ricorso all’esame con cui il signor XXX denuncia: a) la omissione dell’avviso di procedimento e la conseguente violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241; b) la violazione dell’articolo 27 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e il difetto di istruttoria e motivazione, in quanto l’atto impugnato non dà contezza né dell’interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione delle opere né del contrasto delle stesse con la normativa urbanistica vigente, tenuto altresì conto della modestia delle opere contestate che rientrano a pieno titolo tra le cd. opere minori, realizzabili senza permesso di costruire e per le quali non è nemmeno richiesta autorizzazione paesaggistica; ciò varrebbe per la realizzazione di cancelli e varchi carrabili, per i quali la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, esclude la necessità di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica (e per i quali comunque sarebbe ammessa, non risolvendosi tali interventi nella realizzazione di nuove superfici e volumi, l’autorizzazione a sanatoria); mutatis mutandis, quanto precede varrebbe – ad avviso del ricorrente – anche per i muri di contenimento e la realizzazione dell’area di parcheggio (tanto più che si tratta di opere realizzate da moltissimi anni che risultano compatibili con il vigente piano paesistico); c) la violazione dell’articolo 37 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dato che le opere in questione non sarebbero sanzionabili con la demolizione ma, in quanto realizzabili con semplice d.i.a., con la semplice sanzione pecuniaria; d) sotto diverso profilo, la illegittimità del termine (due giorni) concesso per eseguire il ripristino e della mancata comunicazione all’autorità preposta alla tutela del vincolo; e) la violazione dell’articolo 41 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, essendo mancata la approvazione da parte della giunta comunale della valutazione tecnico-economica disposta dal competente organo comunale; f) la violazione della legge regionale 1982, n. 10 essendo stata omessa l’acquisizione del parere della commissione edilizia integrata. Il comune di Ischia si è costituito in giudizio e resiste al ricorso. Il ricorso è infondato. Come accennato, il ricorrente si duole anzitutto della mancata comunicazione dell’avviso di procedimento. Il rilievo è infondato, dato che il provvedimento in questione è un atto vincolato che, per il suo carattere di assoluta doverosità, venendo in rilievo oltretutto un ambito soggetto a vincolo paesaggistico, giustifica l’applicazione del principio dell’articolo 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 secondo cui l’atto vincolato formalmente viziato non è annullabile quando risulti evidente che esso non avrebbe potuto aver contenuto dispositivo diverso; ciò è quanto si verifica nella fattispecie all’esame in cui il carattere di abusività delle opere rilevate dal comune è sostanzialmente incontestato, dato che il ricorrente non ha fornito alcun concreto elemento a supporto delle sue affermazioni in ordine a caratteristiche e epoca di realizzazione delle opere o in ordine alla asserita sanabilità di esse (che comunque non ne escluderebbe – ma anzi la presupporrebbe – l’abusività). Il problema che si pone è quindi di carattere sostanziale e si risolve nella verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 27 D.P.R. n. 380, dato che nella fattispecie il potere esercitato dal comune è quello previsto da tale articolo, sicchè le censure del ricorrente incentrate sulla non necessità di permesso di costruire ovvero in ordine alla non sanzionabilità degli abusi con la demolizione vanno respinte perché nel caso in esame non viene in rilievo l’applicazione o falsa applicazione delle regole degli articoli 31 e 27 D.P.R. n. 380. Ciò premesso, va rilevato che l’esercizio del potere di ripristino dello stato dei luoghi previsto dall’articolo 27 nel caso in cui sia accertata la realizzazione di opere abusive in ambito soggetto a vincolo paesaggistico prescinde dalla distinzione tra opere soggette a permesso di costruire e opere minori nel senso che può essere esercitato anche in presenza di queste ultime; il provvedimento che dispone il ripristino d’altro lato non richiede motivazione in ordine all’interesse pubblico dato che l’interesse a ripristinare lo stato dei luoghi può essere considerato esistente in re ipsa, venendo in rilievo un ambito soggetto a vincolo. L’unico presupposto del provvedimento è in sostanza l’abusività dell’opera, essendo irrilevante che essa possa essere eventualmente suscettibile di una sanatoria. In ordine alla omessa previa comunicazione del provvedimento di ripristino all’autorità preposta alla tutela del vincolo, ciò non determina l’illegittimità dell’atto dato che la comunicazione non è prevista a tutela dell’autore dell’illecito ma al fine di evitare sovrapposizioni tra le diverse autorità competenti alla tutela del bene vincolato sicchè – quand’anche si ritenesse che l’omissione della preventiva comunicazione alla soprintendenza competente determinasse un vizio dell’atto – sarebbe l’autorità cui avrebbe dovuto essere diretta la comunicazione omessa a potersene dolere e non l’autore dell’illecito. Quanto alla mancanza della delibera di giunta prevista dall’articolo 41 la relativa censura va respinta costituendo orientamento di questa sezione che “la valutazione tecnica ed economica di cui all’art. 41 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 ad opera della Giunta Comunale riguarda esclusivamente la fase esecutiva della demolizione, e dunque non può inficiare, di per sé, la legittimità del provvedimento demolitorio, dovendosi, anzi, ritenere che, in questa fase, siffatta valutazione non sia neppure necessaria” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 11/10/2016, n.4659). In altri termini l’omissione della delibera di giunta in questione potrà rilevare in sede di recupero da parte del comune delle somme spese per la demolizione d’ufficio (cfr. con riferimento all’articolo 27 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che costituisce l’immediato precedente normativo dell’articolo 41 D.P.R. n. 380 Consiglio di Stato, sez. V, 21 novembre 2007, n. 5966). Parimenti non necessario è il parere della commissione edilizia integrata poichè l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (in termini T.A.R. Campania, Napoli sez. VI, 21 giugno 2017, n. 3377 e 20/02/2017, n. 996). Resta da esaminare il profilo relativo alla dedotta illegittimità del termine previsto per la demolizione. Il ricorrente censura in particolare l’eccessiva brevità dello stesso (solo due giorni). La censura sarebbe fondata se il provvedimento avesse ingiunto il ripristino allo stesso ricorrente, essendo evidentemente impossibile provvedere al ripristino dello stato dei luoghi in soli due giorni, tenuto conto della consistenza delle opere da eliminare (che sono tutt’altro che di scarso rilievo, come sostenuto dal ricorrente); il provvedimento, però, dispone che il ripristino sia eseguito dalla stessa amministrazione e del resto l’articolo 27 prevede che il ripristino sia eseguito a cura dell’autorità comunale o della autorità preposta alla tutela del vincolo (essendo la fattispecie dell’articolo 27 distinta da quella dell’articolo 31 in cui la demolizione è ingiunta al responsabile dell’abuso e al proprietario ai quali è concesso il termine di 90 giorni); è vero che il provvedimento afferma che entro il termine assegnato per le operazioni (o meglio per l’inizio delle operazioni) al responsabile del procedimento “i proprietari potranno sostituirsi, demolendo in proprio, e procedere quindi al ripristino dello stato dei luoghi” ma tale previsione, proprio perché non pone in capo al proprietario alcun obbligo ma una semplice facoltà, va chiaramente intesa nel senso che entro il termine di due giorni al ricorrente è data facoltà di evitare l’intervento del comune assumendo egli stesso la responsabilità e l’impegno di procedere al ripristino secondo modalità evidentemente da definire di concerto con il responsabile del procedimento (a tutela dell’interesse del comune ad ottenere un serio impegno al ripristino dello stato dei luoghi in tempi rapidi e certi e del proprietario a poter stabilire modalità del ripristino in modo da ridurne l’impatto anche economico evitando l’esecuzione in danno). Del resto, se il provvedimento si fosse limitato a imporre al responsabile del procedimento di procedere alla demolizione d’ufficio entro il termine di due giorni senza nulla aggiungere in ordine a un possibile intervento sostitutivo del proprietario (che sarebbe stato comunque possibile non potendosi certo escludere che questi proponesse al comune di eseguire il ripristino in proprio), esso sarebbe risultato conforme al modello legale e il ricorrente non avrebbe potuto certo dolersi della circostanza che il ripristino non gli sia stato ordinato con fissazione di un termine congruo. Conclusivamente, il ricorso è infondato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, sezione VI, definitivamente pronunciandosi sul ricorso, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro duemila, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati: Paolo Passoni, Presidente Davide Soricelli, Consigliere, Estensore Carlo Buonauro, Consigliere L’ESTENSORE IL PRESIDENTE Davide Soricelli Paolo Passoni IL SEGRETARIO