ISCHIA – Non può esserci abusivismo edilizio a Campagnano. (E’ il cavallo di battaglia anche dell ‘esponente  dei 5 stelle Giovanni Tufano). Il Tar dispone che le ordinanze di demolizione vanno eseguite. Infatti i giudici stabiliscono che     “l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive, costituendo un atto dovuto in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, non necessita della preventiva acquisizione del parere del richiamato ufficio (ex multis, T.A.R., Campania Napoli, sez. II, 30 ottobre 2006, n. 9243; sez. IV, 16 luglio 2003, n. 8434).

Il testo del provvedimento

G. S., rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Bruno Molinaro, con il quale domicilia in Napoli, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la segreteria del T.A.R.; contro Comune di Ischia, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ivano Buono, con il quale domicilia in Napoli, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la segreteria del T.A.R.; nei confronti Giovan Giuseppe Curci, non costituito in giudizio; e con l’intervento di ad opponendum: Argo societa’ cooperativa edilizia a r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato Filippo Di Costanzo, con il quale domicilia in Napoli, ai sensi dell’art. 25 c.p.a., presso la segreteria del T.A.R. per l’annullamento dell’ordinanza del 16 dicembre 2013, n. 211, successivamente notificata, recante ingiunzione di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ischia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 giugno 2019 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con la quale il Comune di Ischia gli ha ingiunto di demolire, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, le opere realizzate alla via Traversa Campagnano n. 7/c in assenza di alcun titolo in zona paesaggisticamente vincolata. Il provvedimento è stato adottato sulla scorta di vari accertamenti tecnici eseguiti nel tempo del seguente tenore: “visto l’accertamento tecnico prot. n. 316 del 22.3.2004 da cui risulta che…[il ricorrente ha].. realizzato in assenza di alcun titolo abilitativo le seguenti opere <<..la realizzazione abusiva di una tettoia della superficie coperta di mq. 90 circa, alta dal terreno in declivio variabilmente da m. 2,00 a m. 3,70 circa, in aderenza ad un vecchio cellaio-cantina, lato sud. Tale tettoia è costituita da tubolari verticali infissi nel terreno, e da altri orizzontali posti alla sommità dei precedenti, bullonati agli stessi. La copertura è costituita da vecchie lamiere grecate. Nell’area sottostante la tettoia vi è una vecchia cisterna interrata, oltre a recinzioni e gabbie per l’allevamento di animali da cortile in aderenza al cellaio-cantina>>; “visto l’accertamento tecnico prot. 1495 del 23.11.2004 è stato accertato: <<..che lungo il perimetro della tettoia è stata messa in opera una rete frangivento, mentre nell’area sottostante la tettoia sono stati eseguiti lavori di pulizia. E’ stato accertato altresì il crollo di tratti di muratura a secco preesistente, dovuta alle ultime piogge..>> “visto l’accertamento tecnico prot. n. 234 del 28.6.2011 con il quale è stato accertato: <<…la prosecuzione dei lavori. La tettoia di mq. 90 circa, precedentemente accertata è stata rimossa ed al suo posto, a ridosso della vecchia cantina è stato rinvenuto un manufatto ad un livello della superficie coperta di mq. 102 circa, alto m. 3,10 circa, completamento rifinito ed abitato dal nucleo familiare del [ricorrente]. La struttura del manufatto è costituita da muratura e solaio piano. Internamente è diviso in cinque ambienti, cucina, due camere, salone e w.c. Esternamente presenta una tettoia posta in aderenza al lato sud, costituita da legno e tegole, sorretta sul lato opposto dal manufatto da quattro pilastri. Essa impegna una superficie coperta di mq. 35 circa con altezza variante da m. 2,80 a m. 3,60. Nell’angolo a nord-est della proprietà, distaccata di cm. 60 circa dal manufatto sopra descritto, vi è altra tettoia della superficie coperta di mq. 18 circa, alta m. 2,80 circa, poggiata su due lati (nord ed est) a muri di contenimento, mentre nell’angolo formato dai lati ovest e sud è sorretta da profilati in ferro. Il manufatto cantina, retrostante l’abitazione è stato oggetto di lavori di manutenzione>>. Nel provvedimento si dà anche conto della pendenza di due diverse domande di condono riguardanti la consistenza immobiliare (n. 8077 del 30 marzo 2004 presentata da Edvige Pesce ai sensi della legge n. 326/2004 e n. 30353 del 7 dicembre 2004 presentata dal ricorrente ai sensi della medesima legge), nonché, del fatto che la sanzione ripristinatoria è scaturita dall’esposto di Giovan Giuseppe Curci (allora rappresentante legale della società Argo cooperativa edilizia a r.l.) al quale è seguita la sentenza di questo Tribunale n. 449/2013 (che ha sancito l’obbligo del Comune di Ischia di provvedere in ordine all’esposto presentato). A sostegno del gravame il ricorrente deduce varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere. Si è costituito per resistere al ricorso il Comune intimato. E’ intervenuta ad opponendum la società Argo cooperativa edilizia a r.l. (d’ora in avanti società Argo). Con varie memorie le parti hanno insistito nelle rispettive posizioni; in particolare, la difesa di parte ricorrente ha contestato sotto vari profili la legittimazione ad intervenire in questo giudizio da parte della società Argo. All’udienza pubblica del 5 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto. Preliminarmente parte ricorrente contesta la sussistenza della “legitimatio ad processum e ad causam” della società interveniente. In particolare (e quanto al primo profilo) l’atto di intervento sarebbe stato proposto dal Presidente della cooperativa in carenza della necessaria autorizzazione da parte dell’Assemblea dei soci o del Consiglio di amministrazione. A tale proposito mancherebbe qualsiasi riferimento alle determinazioni di tali organi ad intraprendere l’iniziativa processuale de qua dandone mandato al Presidente. Osserva il Collegio come, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, nell’atto di intervento della società si faccia espresso riferimento alla delibera del Consiglio di Amministrazione del 19 ottobre 2015; ciò, nondimeno, la delibera non è stata prodotta in giudizio dalla società. Ritiene il Collegio che alla fattispecie dovrebbe applicarsi il comma 2, dell’art. 182 c.p.c. (valido anche nel processo amministrativo ai sensi dell’art. 39 c.p.a.), per cui “quando rileva un difetto di rappresentanza, assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”. Nel caso di specie, tuttavia, per ragioni di economia processuale (essendo il ricorso manifestamente infondato ed essendo del tutto irrilevante ai fini della decisione la copiosa documentazione depositata dalla società Argo) il Collegio ritiene che si possa prescindere dall’assegnazione di un termine alla società per il deposito della suddetta delibera. Ciò premesso, come esposto in fatto l’oggetto del presente giudizio verte sulla legittimità, contestata sotto più profili dal ricorrente, del provvedimento repressivo assunto dal Comune di Ischia, ai fini edilizi e paesaggistico – ambientali, a fronte della realizzazione, in assenza di alcun titolo dell’intervento edilizio sopra descritto che consiste essenzialmente nella realizzazione (a ridosso di una vecchia cantina) di un manufatto abitativo della superficie di ca. 102 mq. e di due tettoie di rilevanti dimensioni (rispettivamente di 35 e 18 mq.). Con il primo motivo il ricorrente lamenta che le opere realizzate sarebbero riconducibili a due diverse domande di condono (la n. 8077 del 30 marzo 2004 e la n. 30353 del 7 dicembre 2004) presentate ai sensi della legge n. 326/2003 e mai esaminate dal Comune. Alla luce di quanto precede il ricorrente invoca l’applicazione degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/1985 i quali stabiliscono che in pendenza dell’esame della domanda di condono è sospesa l’adozione di provvedimenti sanzionatori. La censura non ha pregio. Ed, invero, il Collegio non ignora quel diffuso orientamento giurisprudenziale, di cui questa stessa Sezione ha più volte fatto applicazione, secondo cui ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve restare sospeso qualora risulti presentata istanza di concessione in sanatoria fino alla definizione di detta istanza da parte del Comune, senza che il giudice possa in ogni caso sostituirsi a tale effetto di sospensione, nemmeno per una valutazione in via incidentale della eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta ( cfr. ex multis Tar Campania, VI Sezione, sentenza n. 2244 del 30 aprile 2013; n. 3500 del 04/07/2013; Consiglio Stato sez. IV, 04 novembre 2005 , n. 5273; sez. IV, 03 maggio 2005 , n. 2137). Ciò nondimeno, tale costrutto non può essere qui replicato in quanto non vi è coincidenza tra quanto risultante dalle domande di condono e quanto sanzionato dal Comune. Ed, infatti, laddove la domanda di condono n. 8077/2004 si riferisce ad un locale deposito della superficie di 90 mq. e la n. 30353/2004 a non meglio specificate opere non valutabili in termini di superficie e di volume, l’ordinanza di demolizione riguarda un manufatto abitativo di circa 102 mq. e 2 tettoie di 35 e 18 mq. L’impossibilità che vi sia coincidenza tra quanto accertato dagli Uffici tecnici del Comune e quanto risultante dalle domande di condono emerge chiaramente dallo stesso provvedimento impugnato. Ed, infatti, nell’accertamento del 22 marzo 2004 i tecnici del Comune hanno rinvenuto una tettoia di 90 mq. (e non un deposito di 90 mq.); mentre nel successivo sopralluogo del 20 giugno 2011 è risultato che la tettoia è stata rimossa e al suo posto è stato realizzato un manufatto della superficie coperta di circa 102 mq. Le opere di cui al chiesto condono (il deposito della superficie di 90 mq.) sono state ultimate (secondo quanto dichiarato) in data 30 marzo 2003 mentre quelle rilevate in loco sono state sicuramente realizzate in un tempo successivo e, non possono, dunque, per tabulas essere ricondotte alle istanze di sanatoria. La circostanza dedotta in ricorso per cui “l’attuale consistenza immobiliare della predetta abitazione, compresa l’antistante tettoia di ingresso, corrisponde esattamente alla somma della porzione di mq. 45 del vecchio fabbricato rurale e del manufatto di mq. 90 oggetto di regolare istanza di condono edilizio ex lege n. 326/2003” non muta le conclusioni appena rassegnate. Il ricorrente, infatti, con l’intervento edilizio realizzato tra il 2004 e il 2011 ha radicalmente trasformato lo stato dei luoghi dando vita ad un nuovo manufatto non più riconducibile al deposito di 90 mq. (peraltro, come visto, non rinvenuto nell’accertamento del 22 marzo 2004). Risulta evidente la non coincidenza in termini di volumi, superfici e destinazione di quanto recato nella domanda di condono (relativamente a opere che avrebbero dovuto essere ultimate entro il 31 marzo 2003) e l’ordine demolitorio. Per mera completezza va aggiunto che la giurisprudenza ha costantemente statuito che in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili nella loro oggettività alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Nella fattispecie, deve affermarsi che nell’impossibilità di distinguere la parte oggetto della richiesta di sanatoria e quella realizzata in seguito non può non concludersi nel senso che il ricorrente ha dato vita a una nuova e diversa costruzione in sostituzione di quella da sanare in assenza di alcun titolo abilitativo. In particolare, la puntuale descrizione degli interventi eseguiti sine titulo – che hanno portato alla realizzazione ex novo di un fabbricato con conseguente creazione di nuovi volumi e superfici, ed alla incisiva modifica delle aree esterne – riflette con assoluta evidenza la rilevanza edilizia dei contestati abusi, fatta palese dalla chiara attitudine dei suddetti interventi a dar vita a nuovi organismi edilizi, con conseguente, significativa alterazione, in ragione dell’incremento di superficie e volume che ne è derivato, dell’originario stato dei luoghi. Vale aggiungere che l’intervento in contestazione ricade in zona assoggettata a vicolo paesaggistico, in considerazione della intervenuta dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’intero territorio del Comune di Ischia giusta d.m. del 9 settemre 1952. In ragione di quanto detto, stante la qualificata alterazione dell’aspetto esteriore dei luoghi conseguita, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava, anzitutto, soggetto alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica. Sotto diverso profilo, poi, le opere abusive realizzate, comportanti anche nuovi volumi e superfici, richiedevano il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire. Parimenti infondate si rivelano, per le ragioni già evidenziate, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato. Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi, di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una contestazione, in fatto, sulla natura degli abusi accertati, di cui risulta offerta una chiara descrizione. Del pari, si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione. Vale, infatti, ribadire che le opere realizzate, comportanti aumenti di superficie e di volume, con conseguente significativa alterazione dello stato dei luoghi, riflettono, di per se stesse, con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che imponeva il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire. A fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione dell’opera in contestazione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza. In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali (quali la comparazione degli interessi pubblici e privati in gioco), atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto: l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria. Priva di pregio risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780; 13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime. Sono, altresì, infondati gli ultimi due motivi di ricorso con i quali si deduce la violazione dell’art. 41 del D.P.R. n. 380/2001 e l’illegittimità del provvedimento per non essere stata sentita la Commissione edilizia integrata per i beni ambientali. Quanto al primo profilo il ricorrente lamenta la mancanza della valutazione tecnica ed economica di cui all’art. 41 co. 1 D.P.R. 380/2001, nel testo vigente a seguito della Sentenza n. 196/2004 della Corte Costituzionale (“in tutti i casi in cui la demolizione deve avvenire a cura del comune, essa è disposta dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale su valutazione tecnico-economica approvata dalla giunta comunale”). La doglianza, come prospettata, è priva di pregio. Tale valutazione riguardava esclusivamente la fase esecutiva delle demolizione e, dunque, non poteva inficiare, di per sé, la legittimità del provvedimento demolitorio, dovendosi, anzi, ritenere che in questa fase siffatta valutazione non fosse neppure necessaria (cfr. TAR Campania, Sez VI n. 16446/2010 del 29/06/2010. Consiglio Stato, sez. V, 21 novembre 2007, n. 5966; Consiglio Stato sez. V 26 gennaio 2001 n. 268; T.A.R. Napoli Sez. Unica Sent. n. 1147 – 22 febbraio 2003). In relazione alla seconda questione si osserva che l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive, costituendo un atto dovuto in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge, non necessita della preventiva acquisizione del parere del richiamato ufficio (ex multis, T.A.R., Campania Napoli, sez. II, 30 ottobre 2006, n. 9243; sez. IV, 16 luglio 2003, n. 8434). Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza nei confronti del Comune costituito e trovano liquidazione in dispositivo mentre devono essere compensate nei riguardi della società interveniente. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’avvocato del Comune di Ischia dichiaratosi antistatario che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre maggiorazioni, I.V.A. e c.a.p., come per legge; compensa le spese nei confronti dell’interventore ad opponendum. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati: Paolo Passoni, Presidente Davide Soricelli, Consigliere Paola Palmarini, Consigliere, Estensore L’ESTENSORE IL PRESIDENTE Paola Palmarini Paolo Passoni IL SEGRETARIO