di Ignazio Castagliuolo

Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto nel terzo trimestre del 2010 il 24,7%, con un massimo del 36% per le donne del Mezzogiorno. Secondo l’Istat un giovane su quattro è senza lavoro. E spetta alla Campania la maglia nera della disoccupazione. Un ulteriore indicatore: i cosiddetti inattivi. Le persone che non cercano più lavoro sono, difatti, in continua crescita e

determinano un fattore di errore nella stima in quanto non rientranti nelle categorie di occupati o in cerca di occupazione. Gli sconfortati sono tra quelli che non trovano occupazione né attraverso i canali ufficiali – i centri per l’impiego o i concorsi pubblici – né attraverso il para-sistema del

clientelismo. Un tempo definita “raccomandazione”, oggi, nell’era post-tangentopoli, bandita dal dizionario la parola da prima repubblica mazzetta(..e solo la parola), la si usa definire “sistema clientelare”. Esso rappresenta il male oscuro del nostro Paese, più pericoloso forse della stessa crisi.

Il disastro del Gruppo Tirrenia e della CAREMAR è figlio di decenni di lottizzazioni, clientelismo e spreco di denaro pubblico. E la sanità pubblica, solo per fare un altro esempio, è stata ed è spesso

considerata un luogo di occupazione clientelare dove l’amicizia con il politico di riferimento è prevalsa al merito. Quante volte i Direttori Generali sono stati valutati non su base meritocratica ma nominati sulle basi delle appartenenze partitiche? Quante volte questo ha generato e genera, grazie all’incapacità organizzativa e/o professionale dei “camici bianchi”, casi di malasanità?  Il problema è trovare lavoro e ed è consuetudine  consolidata purtroppo affidarsi al “mani in pasta” del momento. Meglio ancora se si è sotto elezioni: una cena con l’amministratore locale, magari con la partecipazione di un candidato alla Regione, più il parente del facoltoso imprenditore e forse si

riesce finalmente a prendere il posto. L’etica e la morale lasciano il posto alle rocambolesche etiche e morali del sistema politico e sociale. Il clientelismo diventa dunque l’alternativa, una sorta di ammortizzatore sociale, di male minore condiviso perché si sa, l’’importante è portare a casa

la pagnotta .Ecco che la prassi del clientelismo imprigiona i nostri territori in una gabbia di dipendenze e connivenze da cui è difficile, pressoché impossibile, venir fuori. Oggi dipendiamo dal sistema clientelare come veri e propri lavoratori subordinati di chi quel posto di lavoro l’ha assegnato. A parte il discorso sulla dignità, l’etica, l’onestà, c’è da dire  che il clientelismo, quale fattore per la conservazione del potere, poggia sulle società in ritardo culturale ed economico ove meglio si alimenta perché un sistema di povertà assai diffuso materializza la necessità di trovarsi un

protettore. Dove? Nella politica, ovviamente, dispensatrice dei grandi favoritismi. Nelle società più ricche, infatti, il clientelismo non sembra risultare una pratica condivisa; esse guardano all’efficacia, all’efficienza, ai tempi della risposta .Il clientelismo è dunque condizione per la conservazione del potere. Mantenere il cittadino italiano, campano, isolano e soprattutto foriano  in uno stato di sudditanza e di sottocultura è l’unica risposta possibile alla debolezza e al non coraggio dei partiti, alla crisi delle idee e della politica. Alla povertà congenita creata e mantenuta ad arte. A Forio è esploso il caso “CONCORSO CENSIMENTO”. Da anni a Forio  esistono le “vicende” dei concorsi pubblici, delle assunzioni per chiamate dirette, dei lavori pubblici, delle società partecipate e in house etc. Esiste la legittima rincorsa al posto nel correre in aiuto del vincitore.  Vicende talora scandalose, nella disattenzione di fatto dell’efficienza, efficacia, economicità  e trasparenza dell’azione amministrativa. E dei vari concorsi o selezioni pubbliche esiste un metodo “preselettivo” nella disattenzione fattuale e puntuale dell’evidenza pubblica: quanti foriani sanno

puntualmente dei bandi? Esiste poi una discriminazione sub-clentelare, post -clientelare o sovra-

clientelare. Ad esempio degli sprechi dell’industria monnezzara foriana: la “Torre Saracena”

in un anno quasi 3 milioni di euro per il personale. Colpisce, oltre ai dati per i compensi (visti i risultati) per i componenti dei consigli di amministrazione e del collegio  sindacale, un particolare: circa 200.000,00 euro annui per alcuni dipendenti grazie ad ore di straordinario per qualcosa

come 15.000,00 euro mensili (Il Golfo del 5/10/2011). Questo colpisce per la profonda ingiustizia morale, etica e sociale perché a fronte di cifre così elevate in busta paga, evidentemente o eventualmente giustificate da necessità di servizio, esistono lavoratori stagionali, meglio in “moblità”perenne, chiamati per due-tre mesi all’anno….forse.   Da anni, troppi anche l’isola subisce un apparato politico-finanziario all’interno dello stesso  “sistema paese”.

Un simile modello di sviluppo sociale non prevede specializzazioni né suppone realizzazioni intermedie della società civile: Si vuole impedire la competitività sia nella politica, basando il consenso sul potere di dipendenza dei cittadini (clientelismo), sia nel libero mercato delle imprese, basando la produzione sull’abbassamento della qualità offerta e su pagamenti e retribuzioni bassi, escludendo dall’impianto produttivo la già penalizzata e indebolita micro, piccola e media impresa isolana. Un modello sociale ottocentesco per comprare a costo bassissimo imprese, denaro, intelligenze e forza lavoro. Questa si definisce speculazione finanziaria che ha la propria

stampella nella politica che ha perso la propria terzietà ed è ridotta a essere cortigiana di casta delle tante caste del sistema italiota ma che si basa su cittadini ridotti a clientes, sudditi senza diritti, gestiti da politici “mani in pasta”. Cittadini  vittima di una classe dirigente non solo politica,

destrutturata che ha determinato da 50 anni sacche di marginalità, non generando crescita economica, sociale e politica! Ma per rompere il sistema, per cambiare, per tagliare di netto con  una vecchia politica che ci ricaccia indietro, io combatto nella speranza che la società sia veramente oltre il clientelismo. Che questa società, sia oltre la rappresentazione stantia, luminosa fuori e verminosa dentro, che una classe dirigente da di essa.                                                                                Perché i cittadini hanno necessità e responsabilità ma non colpe.                                                         Chè purtroppo..” La democrazia dà ad ogni uomo il diritto di essere (anche) l’oppressore di se

stesso”. J. Lowell